
San Lorenzo negli anni Settanta
San Lorenzo non è sempre stato un quartiere così florido artisticamente, ad oggi conta circa sessanta studi d’artista, dieci gallerie e trenta opere di street art, ma tra gli anni Sessanta e Settanta gli artisti a scegliere questo quartiere come luogo per il proprio studio non furono molti.
La Roma di quegli anni cominciava a veder vacillare le certezze del boom economico, tra le contestazioni studentesche e le tensioni politiche, il panorama urbano cominciava a subire grandi trasformazioni. San Lorenzo non faceva eccezione, la presenza dell’università richiamava molti studenti, non solo da tutta Italia ma provenienti da diverse parti del mondo. Il quartiere iniziava a veder cambiare la sua storica fisionomia composta da artigiani e operai che trovavano lavoro nelle fabbriche.
Come ci ha raccontato Alì Assaf, uno dei primi artisti a trasferirsi nel quartiere ed uno dei pochi ad essere rimasti, l’università era frequentata non solo da italiani ma anche palestinesi, greci e argentini, un movimento di studenti che creava uno spazio per un ricco scambio internazionale. Assaf stesso è nato in Iraq, dove ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Baghdad, per poi continuare gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma dove si è diplomato nel 1977. Si è trasferito a San Lorenzo nel febbraio del 1975, in uno studio in via dei Volsci, insieme ad altri due giovani studenti, che però hanno presto lasciato il quartiere.
«C’erano anche artisti che abitavano in quella zona, vicino l’Accademia, e andavamo lì almeno gli anni degli studi. La mattina andavo in Accademia, andavamo al bar, poi tornavamo per lavorare a San Lorenzo ma di pomeriggio ci ritrovavamo al centro»così racconta la sua esperienza Alì Assaf dei primi anni Settanta, divisa tra i corsi accademici e il lavoro nel suo studio a San Lorenzo. Al contrario di oggi, in quel periodo la zona non aveva luoghi d’incontro per poter discutere, esporre o da visitare; i locali per confrontarsi erano principalmente osterie e pochissimi bar, tra cui lo storico bar Marani.
La scelta del quartiere come base per il proprio studio avvenne per ragioni economiche e per la sua vicinanza al centro, il punto di ritrovo, però, restava Piazza del Popolo. Il Caffè Rosati e la vicina galleria di Plinio De Martis, la Tartaruga, la libreria Al Ferro di Cavallo e l’Accademia di Belle Arti in via di Ripetta, fecero del tridente un punto culturale importantissimo; gli artisti e i poeti si incontravano lì, era facile vedere discutere i membri della Scuola di Piazza del Popolo, ma anche Guttuso, Perilli, Novelli e così via. Proprio dal centro, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, cominciava la migrazione degli artisti verso la periferia e San Lorenzo, ricca di grandi spazi, dovuti al suo passato industriale, si addiceva alla pratica artistica e alle necessità degli studenti.

Gli artisti però non lasciavano il centro solo per motivi pratici ed economici, ma anche politici. Ad esempio il pittore Angelo Caligaris e lo stampatore Luigi Campanelli trasferirono oltre le Mura aureliane le loro attività proprio per allontanarsi dalla “dittatura delle gallerie” . Era dunque un atto cosciente, manifestato anche in comunicati redatti per esprimere i motivi del loro allontanarsi dal centro, dall’arte “ufficiale”, e della loro esigenza di creare nuovi spazi. A San Lorenzo, Caligaris e Campanelli fondarono Laboratorio 1 N, con sede al quinto piano di via degli Ausoni 3, prendendo il posto di un gruppo teatrale chiamato La Stanza. Per questi giovani artisti erano gli anni della sperimentazione, anni in cui organizzarono a San Lorenzo le prime mostre e iniziative. Lo spostarsi verso quella che allora era una periferia, lasciando il centro dello scambio dell’arte a Roma, era un gesto non compreso da molti, come pure per Renato Guttuso che sconsigliò al giovane Caligaris di trasferirsi in un quartiere che era per lo più popolato da studenti e dove mancava una rete di artisti e gallerie.
Sia Caligaris che Campanelli si stabilirono nella zona durante i primi anni Settanta, quest’ultimo aveva inizialmente preso uno studio in via dei Marsi, di fronte l’edificio che oggi accoglie la facoltà di Psicologia dell’Università la Sapienza e che un tempo ospitava la fabbrica di birra, di cui ancora oggi si può osservare la ciminiera, a testimonianza della vita industriale del quartiere. In questo studio portava avanti la sua attività serigrafica, mantenendo contatti anche con la serigrafia di Roberto Federici, trasferitosi a San Lorenzo anche lui nei primi anni Settanta e ancora attivo ad oggi nello stesso studio. Angelo Caligaris, invece, ha cambiato diversi studi, passando per Campo de Fiori e Piazza Navona prima di arrivare a stabilirsi a San Lorenzo. In seguito alla sua attività con Laboratorio 1 N, lascia la propria carriera di pittore per dedicarsi alla fotografia, lavorando per il cinema e per importanti riviste.
La sua attività di fotografo lo ha portato, come da lui sostenuto, ad avere “tanto successo da fondare la Scuola Romana di Fotografia con Francesco Forte, che nel 1982 era stato ministro dell’economia, e con Duccio Trombadori”, che era nipote del pittore romano Francesco e figlio del critico d’arte Antonello; la scuola manterrà la sua sede a San Lorenzo per poi trasferirsi nel quartiere romano Parioli e solo dopo nella sua sede definitiva di Pietralata.
Il quartiere, prima della mostra “Ateliers” del 1984 curata da Achille Bonito Oliva e la fondazione della Nuova Scuola Romana, sembra essere stato terreno fertile per giovani studenti che avevano necessità di grandi spazi e di sperimentare, per potersi affermare lontano dal mondo “ufficiale” dell’arte. A sottolineare questa tendenza ricordiamo che durante il suo soggiorno romano, tra il 1975 e il 1979, la fotografa Francesca Woodman si trattenne a San Lorenzo, dove scattò anche alcune delle sue famosissime fotografie proprio in via degli Ausoni 7, nell’edificio che ospita oggi la Fondazione Pastificio Cerere.
Questi giovani artisti ancora studenti, che decisero di lasciare il centro storico, in maniera del tutto spontanea, sfruttando le possibilità che il quartiere offriva, sia a livello culturale che sociale, gettarono le basi per quello che San Lorenzo sarebbe diventata successivamente, una realtà artistica di riferimento per l’intera città.

Industria, politica e arte: la storia di un quartiere che osa trasformarsi
Il quartiere San Lorenzo è uno tra i più ricchi di storia della capitale, bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale ha subito nel corso degli anni innumerevoli trasformazioni, fino ad arrivare ai nostri giorni, momento in cui viene considerato uno dei maggiori centri artistici di Roma. Questi cambiamenti hanno investito numerosi luoghi del quartiere, tra cui capannoni industriali e laboratori, nati attorno alla dogana e ai cantieri di costruzione della nuova Roma Industriale. Questi spazi non hanno subito passivamente lo scorrere del tempo ma sono stati attori principali dell’evoluzione di quello che sarebbe divenuto un vivace polo artistico.
Si tratta di luoghi che hanno visto passare e iscriversi al loro interno la storia di uomini e donne che ha segnato profondamente il territorio italiano. Quello che ci raccontano mura e strade di San Lorenzo è una grande voglia di innovarsi e di mettersi in gioco: per la fine di ogni attività si apre un nuovo capitolo della storia, qui gli spazi non restano abbandonati ma si innovano e rinnovano seguendo lo scorrere del tempo e del presente. La situazione in Italia alla fine degli anni Sessanta segna quella che verrà definita la stagione degli anni di piombo che produsse un’estremizzazione della politica, portando a veri atti di violenza e terrorismo. Il quartiere stesso, da sempre considerato roccaforte della sinistra, è stato uno dei protagonisti di questo periodo e diverse sono le realtà presenti a conferma di questa connotazione, ne è un esempio la sede della redazione romana del giornale l’Unità.
In questi anni la cronaca nera si insinua spesso tra le strade san lorenzine come ricordano bene gli abitanti di Via dei Marsi. Durante la messa in onda della trasmissione RADIODONNA, il 9 gennaio 1979 alle 10:00, degli uomini in passamontagna fecero irruzione nella sede di Radio città Futura: si trattava di un commando dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, guidati da Valerio Fioravanti. Vennero ferite cinque redattrici dal fuoco dei mitra, bombe molotov vennero lanciate contro gli impianti che presero fuoco rendendo difficoltosa la fuga dei feriti. Di grande impatto è il racconto della sopravvissuta Nunni Miolli: “Quel giorno si parlava di contraccezione. Io ero al microfono. Entrano questi uomini armati e col passamontagna e come prima cosa mi lanciano addosso una molotov. Fortuna il golf che mi ha tirato la compagna Gabriella altrimenti sarei rimasta cieca. Poi ho sentito una sventagliata di mitra. Le compagne sono morte – ho pensato – le hanno ammazzate tutte! Adesso finiscono anche me”. Le parole della donna rendono tangibile il terrore vissuto in quegli anni in molteplici città italiane. Nonostante lo stabile fosse segnato dalla storia degli anni più bui del nostro paese, dopo anni di chiusura è tornato ad avere una nuova vita; nel 2014 infatti viene fondata da Carlo Maria Lolli Ghetti ed Eleonora Aloise la White Noise Gallery, che resterà nello spazio di Via dei Marsi fino al 2018 quando si trasferirà in Via della Seggiola.

Interessante è il collegamento tra la ex sede della radio e il fenomeno del rumore bianco da cui prende il nome la galleria, ovvero quello che viene definito dal neuroscienziato Seth Horowitz un muro di energia sonora senza schemi: si tratta di un suono a bassa frequenza che rilassa e favorisce la concentrazione, sicuramente opposto al chiasso delle trasmissioni di Radio Città Futura, che proponevano per l’epoca, temi scottanti ed avanguardisti. Un altro luogo di estremo interesse sempre su via dei Marsi, situato al civico 19, è lo studio di Roberto Federici. Inizialmente lo spazio era di natura industriale, al suo interno si trovava negli anni Cinquanta la Romana Dolciaria con la sua produzione di panettoni, i segni di questa presenza sono ancora tangibili nell’architettura dello spazio e della grande canna fumaria. Federici ci ha raccontato di essersi trasferito in questo spazio nel 1972, poiché a San Lorenzo si trovava la sede di Lotta Continua, quando ancora non esisteva la diffusione del giornale a livello nazionale.
Era per Federici l’occasione di mettersi in gioco professionalmente attraverso l’utilizzo della tecnica della stampa, aprendo una serigrafia per finanziare il giornale proprio in quei locali; già da prima l’artista frequentava infatti la litografia Bulla e proprio lì conobbe moltissimi artisti come Gian Paolo Berto o Piero Dorazio. Il fatto che egli collaborasse con un’organizzazione politica di sinistra avvicinava a lui gli artisti, felici di aiutarlo. Per finanziare il giornale, in particolare, venivano richiesti agli artisti dei loro disegni originali, di cui Federici realizzava delle stampe ad edizione limitata: 50 copie rimanevano all’artista e 50 al giornale. Innumerevoli sono gli artisti che hanno contribuito al finanziamento della pubblicazione, tra di essi ricordiamo Guttuso, Castellani e Angeli. Differenti lunghezze di vedute hanno presto portato Federici a distaccarsi dalla realtà di Lotta Continua, facendo dello spazio di Via dei Marsi il suo studio personale dove ancora oggi vive e lavora.
Questo ambiente ha dunque inscritta al proprio interno la storia stessa delle trasformazioni del quartiere che, da luogo prettamente industriale, si è trasformato in un baluardo rosso della politica fino a diventare un motore pulsante dell’arte.
Al numero 18 di via dei Lucani, dove risiedeva una vecchia azienda locale produttrice di ombrelloni è nato invece l’artist-run space /Ombrelloni, che racchiude lo studio di sei artisti, due collettivi, una project room, una falegnameria e uno spazio dedicato al design. Oggi all’interno di questo sito si realizzano anche eventi, talk e residenze.
Analoga è la realtà di via Tiburtina 213, da pochi anni abitati da numerosi artisti. I loro studi hanno dato nuova vita agli immobili che fino a poco fa ospitavano un’industria siderurgica e a parte del palazzo conosciuto da tutti come “Palazzo Decorato”, per via della mescolanza di stili da cui è composto. La palazzina fu fatta costruire da Giuseppe Maria Sartorio, scultore particolarmente famoso per la produzione di statue cimiteriali, e fu adibita come sua officina e scuola per scultori. Non è un caso che l’edificio e l’adiacente fabbrica fossero ubicati nei pressi del cimitero del Verano, che da sempre ha favorito la presenza di botteghe artigiane come quelle di marmisti e falegnami.
Queste e molte altre realtà sottolineano la nascita di San Lorenzo come quartiere popolare e operaio, infatti per lungo tempo è stato caratterizzato da molte attività artigianali e fabbriche che davano lavoro alla popolazione, è per questo un luogo che si presta oggi ad ospitare studi d’artista poiché ricco di grandi spazi, spesso situati al pian terreno e dotati di ampi accessi. Quello che emerge osservando queste trasformazioni è la grande capacità adattiva del quartiere e la grande potenza dell’arte che, anche in luoghi dalle storie quanto mai complesse ed a volte difficili, riesce a dar vita ad esperienze virtuose che hanno portato San Lorenzo ad essere oggi un punto di riferimento per l’arte a Roma e non solo.