
La fotografia a San Lorenzo: gli archivi del passato, le ricerche del presente e lo sguardo al futuro
Che rapporto c’è tra San Lorenzo e la fotografia? Scopriamolo in questo breve excursus tra passato, presente e futuro.
La fotografia permette di rendere un frammento di vita fruibile agli occhi per un tempo nettamente superiore rispetto al momento che rappresenta. Una caratteristica fondamentale è la capacità di raccontare una storia, un evento, un tema, sia attraverso una fotografia, sia attraverso una serie che completa il ciclo visivo di una vicenda dall’inizio alla fine. Questa narrazione può guardarci dentro, concentrarsi sulle emozioni, su di un viaggio nello spirito o documentare la realtà esterna, entrando in una memoria collettiva. Il quartiere di San Lorenzo pullula di esempi di queste due idee di fotografia grazie a personaggi che hanno segnato la storia, fotografi attivi nel territorio ma anche in luoghi significativi come l’Istituto fotografico, studi e gallerie.
La ricerca fotografica può quindi essere diretta verso uno sguardo interiore, in un’analisi della percezione, della memoria umana, del concetto del tempo e dello spazio trasfigurati in immagine. Ad esempio la galleria Gilda Lavia, che nasce nel 2018, promuove artisti il cui obiettivo è la riflessione sulla nostra società e che si esprimono non di rado con il medium della fotografia. Una delle artiste che rappresenta, Petra Feriancová, in una sua mostra del 2020 ha presentato una serie di scatti analogici intitolata Antigone’s eyes,dove lo sguardo della giovane della tragedia di Sofocle fornisce lo spunto per un’indagine sulla misurazione del tempo, in cui la non linearità della memoria viene così vissuta come una trappola. Nella mostra Rokovoko alla galleria Matèria, l’artista Giulia Marchi evidenzia invece l’incompletezza di tale percorso attraverso aree lasciate vuote per essere colmate dalla memoria. Sulla scia di una formazione in lettere classiche affronta di frequente il rapporto tra l’immagine e la parola scritta, come in questo caso dove protagonista è un’isola immaginaria del romanzo Moby Dick, un luogo dall’ubicazione e contorni incerti; la mostra è del 2015, l’anno di inaugurazione della galleria, che promuove quattro mostre l’anno, spesso site specific e con grande attenzione al medium fotografico.
Tra i fotografi che operano a San Lorenzo Eva Tomei lavora avendo come spunto di creazione la letteratura, per riflettere su tematiche come il tempo e la comunità. Sulle ginocchia degli dèi è un progetto che ripercorre luoghi legati al mar Mediterraneo attraverso il viaggio dell’eroe greco Ulisse: dimostra la passione dell’artista per le origini del mito e della cultura, toccando anche il delicato tema della migrazione e di un arricchimento interiore frutto del confronto con realtà diverse dalla propria. Al contrario di tale itinerario così complesso, Gianmaria de Luca compone il progetto The light that becomes shadow all’interno di una camera oscura costruita per l’occasione nella sua abitazione a causa della reclusione forzata durante il lockdown. La modella è una, la sua compagna, e gli oggetti sono altrettanto poco numerosi e ben riconoscibili nelle varie composizioni sognanti, come un telo che a volte cela in maniera fittizia il corpo della donna o un martello utilizzato per comporre il simbolo del comunismo. La donna appare a tratti paragonabile alla bellezza greca con rimandi al bagno rituale della dea Afrodite, per poi trasformarsi in personificazione dell’angoscia, paura e sofferenza provata in quel periodo di forte incertezza sul futuro.
Tra le vie di San Lorenzo inoltre è custodito uno scrigno prezioso per la conservazione della memoria dell’arte nazionale e internazionale dagli anni Sessanta fino ad oggi. L’archivio Claudio Abate racchiude tutto il repertorio del fotografo che sin da giovanissimo ha intessuto rapporti con artisti come Mario Schifano, lavorando poi con molti altri tra cui Gino De Dominicis, Jannis Kounellis, Joseph Beuys, Pino Pascali giungendo tra gli ultimi lavori a Yoko Ono. Grazie al suo sguardo è possibile oggi immaginare la potenza espressiva di installazioni e performance che hanno avuto luogo in spazi espositivi e gallerie più in voga del tempo come L’Attico o La Salita. Le sue fotografie non solo documentano la storia dell’arte della seconda metà del secolo scorso ma diventano esse stesse opere d’arte. Fotografando una mostra o un’opera si cerca di restituire quanto più la verità del momento, di non caricarla di sovra letture, evidenziarne piuttosto delle caratteristiche che solo uno sguardo attento coglierebbe. “Niente è per sempre, nessuno è necessario, ma senza di me la vita mi sembra così vuota” è l’epitaffio di Marco Lodoli ad una mostra del 2006 documentata da Alessandro Vasari, che immortala le scritte sul muro bianco per lasciarne memoria dopo la fine dell’evento. Il suo studio e l’archivio Vasari si trovano a San Lorenzo e la sua ricerca spazia tra fotografia di arte moderna, mostre contemporanee e architettura.

Oltre all’arte, un fotografo può decidere di concentrarsi anche su numerosi altri aspetti della vita, di analizzare con occhio critico particolari della nostra esistenza. Un reportage fotografico è ad esempio Un mondo a pedali di Alberto Guerri: il tema sono le biciclette, le varie tipologie, le motivazioni che spingono le persone a preferirle, ma anche quando non si tratta di scelta ma di necessità, è semplicemente la realtà a raccontarsi da sola. Alla musica dedica un progetto (The sound of silence) Luigi Orrù, composto da fotografie durante, pre e post concerti o eventi musicali. Dettagli che rinviano nella nostra mente al suono, alle casse al massimo del volume, all’emozione del momento vengono colti ma resi muti dall’assenza dell’audio in fotografia. Lo studio di Orrù si trova a Via dei Volsci, punto di riferimento perché nello stesso luogo vi è anche quello di Giulio Speranza e lo storico Laboratorio Fotografico Corsetti, che oltre a offrire servizi di stampa è anche centro promotore di mostre, presentazioni di libri e corsi di fotografia, camera oscura e banco ottico. Non è l’unico luogo dove poter studiare fotografia e confrontarsi con maestri di grande calibro ed esperienza, in via degli Ausoni c’è infatti l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata con approfondimenti sulla moda e il fotogiornalismo, tra i cui docenti figura Ottavio Celestino con una grande esperienza in editoria e pubblicità.
Il quartiere rappresenta infine un punto fermo della fotografia del passato con una produzione interessantissima, custodendo la memoria storica di eventi, mostre, opere del secolo scorso e attivandosi per promuoverne la conoscenza, esempio principale ne è l’Archivio storico della Memoria di Rolando Galluzzi. Le ricerche attuali raccontano poi un presente carico a volte di incertezza, di ricerca delle proprie radici culturali, del proprio io e del rapporto con l’ambiente di cui si fanno portavoce i vari protagonisti presenti nel territorio. Al futuro è dove sono diretti gli insegnamenti di laboratori fotografici, dell’Istituto e lo sguardo delle nuove figure che operano in un luogo con una forte tradizione alle spalle come San Lorenzo.

San Lorenzo: storie di chi resta e di chi arriva
Il distretto dell’arte di Roma è stato lo scenario di tantissime storie e ancora oggi è quantomai vivo.
San Lorenzo, fin dalla sua nascita, si rivela un quartiere in grado di evolversi e cambiare più volte faccia rimanendo, nel tempo, sempre fedele a sé stesso. La vicinanza con La Sapienza Università di Roma si è rivelata un fattore fondamentale in tal senso: dagli anni Sessanta in poi, grazie al boom economico, gli iscritti, moltiplicatisi, hanno animato e trasformato la zona; la questione diventa così eclatante che nel giugno 1974 l’Unità, giornale stabilitosi fin dal 1956 con la propria sede nel quartiere sanlorenzino, più precisamente in via dei Taurini 19, pubblica un articolo dal titolo esemplificativo: “Artigiani e operai espulsi dalle case di San Lorenzo”. Lo scritto ha l’intento di denunciare le società immobiliari che, con l’affluenza dei nuovi potenziali affittuari, hanno acquistato gli edifici e hanno messo sul mercato gli alloggi ad un prezzo maggiorato, senza fornire nuovi servizi al territorio; causando, anzi, in alcuni casi, la chiusura di attività e l’esodo degli artigiani che fino ad allora avevano animato il quartiere.
I nuovi arrivati non si limitavano soltanto a stabilirsi fisicamente in questo luogo: vi facevano vivere anche le proprie idee, che dalle aule universitarie si riversavano per le strade. Sono anni difficili, neanche il nuovo decennio d’altronde sembrava aver abbandonato il clima caldo delle contestazioni e delle manifestazioni dei decenni precedenti. La violenza colpiva di nuovo il quartiere (anche se in modo indiretto), prima, il 12 febbraio 1980 con l’uccisone di Vittorio Bachelet, all’epoca vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, assassinato dopo aver tenuto una lezione alla facoltà di Scienze Politiche e poi, di nuovo, il 27 maggio 1985 con l’omicidio rivendicato dalle Brigate Rosse, nel parcheggio dell’ateneo, dell’economista e professore universitario Ezio Tarantelli.
Ma questi sono anche ricordati come gli anni dove molti tra intellettuali e scrittori hanno trovato accoglienza e confronto nel quartiere: non era difficile imbattersi in delle discussioni tra personalità come Alberto Moravia, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini, specialmente in Piazza dei Sanniti, nell’antica trattoria da Pommidoro. È proprio qui che Pasolini ha cenato con Ninetto Davoli la sera in cui è stato ucciso. San Lorenzo sembrava un luogo perfetto per cercare ispirazione e pace tanto che il poeta Renzo Paris, dopo essere rimasto completamente affascinato dall’atmosfera che si respirava, nel 1979 dichiara di aver contratto la “malattia della sanlorenzite”. Del resto, nonostante quanto riportavano i giornali, nel pieno degli anni Ottanta vi erano ancora strade che raccontavano un’altra realtà e un altro tempo dove la creatività e l’artigianato trovavano uno spazio favorevole per fiorire e continuare ad esprimersi.

Via dei Piceni sembrava in questo senso emblematica, con le tante botteghe artigiane che la animavano: la falegnameria Peretti, la coloreria del commendator Cellini, la bottega “de Pippo er fabbro”, la vetreria e la bottega dello scultore Livio Scatolini. Quest’ultimo, nato a San Lorenzo da una famiglia di artigiani (il padre aveva una falegnameria), dopo aver iniziato da giovanissimo, a soli undici anni, l’apprendistato nella bottega del maestro marmista Lucio Rossi, decide, nel 1952, di aprire una bottega ex novo proprio lì, in Via dei Piceni, dove aveva appreso i segreti del mestiere. Durante più di cinquant’anni di attività molte sono state le personalità passate da questo luogo. Come in ogni officina artigiana non era difficile trovare, a fianco della signora sanlorenzina, delle personalità più note come il critico d’arte Achille Bonito Oliva o gli artisti Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Mario Schifano. Come racconta il figlio, Otello Scatolini, anche lui maestro del marmo a San Lorenzo, in quegli anni suo padre è stato depositario e trasmettitore di molte conoscenze e segreti, ancora oggi punti cardine della lavorazione del marmo per la scultura classica fatta a mano. È una tradizione, quella di tramandare i segreti del mestiere, che affonda le sue radici nell’antichità, passando da Michelangelo Buonarroti e Gian Lorenzo Bernini, arrivando fino ai tempi nostri.
Se da una parte vi erano le attività artigiane che si dividevano tra chiusure e resistenze, dall’altra vi erano nuove personalità che trovavano in San Lorenzo un posto favorevole dove porre nuove radici. È il caso dell’artista Fiorenzo Zaffina. Di origine calabrese, si era trasferito a Roma per intraprendere gli studi all’Accademia di Belle Arti e per frequentare la facoltà di architettura. Nonostante le lezioni si svolgessero in una zona distante dal quartiere, a Valle Giulia, era a San Lorenzo che Zaffina si incontrava con altri colleghi per godere al massimo la vita universitaria: tra collettivi, manifestazioni e le case degli studenti. Il suo rapporto con questo luogo, con il tempo, si è andato ancor più intensificando: in un primo momento, quando ha iniziato a lavorare come grafico a l’Unità e poi, in maniera ancora più viscerale, quando nel 1986 ha deciso di prendere uno studio, in via dei Campani, dove si trova ancora oggi, per portare avanti la propria ricerca artistica. Tra i suoi lavori, sicuramente i più emblematici sono le rotture che riguardano i muri. Come l’artista ha affermato, vi è una voglia di vedere al loro interno. In questo senso i muri, dovunque si trovino, possono essere paragonati a degli hard disk che prendono e conservano: custodiscono la storia al loro interno e per scoprirla non resta far altro che lavorarli, scavarli, romperli o aprirli letteralmente fino all’anima per farli parlare. Come ha affermato: “Dopo qualche tempo sono io a essere entrato dentro San Lorenzo, ma nel vero senso della parola”.
A questo punto viene istintivo pensare, come avviene per le opere di Zaffina, che anche le Mura che da sempre circondano il quartiere, delimitandolo e rendendolo ben riconoscibile, non sono mai state causa di chiusura per via delle fratture che in qualche modo lo caratterizzano. È grazie a quest’ultime che San Lorenzo è riuscito a non chiudersi su sé stesso, ma ad aprirsi a nuove realtà e nuove vitalità portate non solo dai giovani che animano l’università ma anche al gran numero di ateliers e di artisti che hanno abitato e continuano ad abitare il territorio, rendendolo vivo.