
La galleria d’arte come vettore. Intervista a Gilda Lavia
La galleria Gilda Lavia è presente nel quartiere di San Lorenzo dal 2018 e negli anni è divenuta un punto di riferimento per il territorio. Nella nostra intervista, la gallerista ci racconta il dietro le quinte delle ultime esposizioni e la sua visione sul mondo dell’arte.
Dal 2018 prende vita nel quartiere di San Lorenzo la sua omonima galleria, volta alla promozione di artisti emergenti e non, italiani ed esteri. Come mai, nonostante le sue origini toscane, ha scelto di aprire la sua galleria a Roma e in particolare nel quartiere di San Lorenzo? Quanto crede sia importante il ruolo delle gallerie d’arte su questo territorio?
Sono arrivata a Roma per ultimare i miei studi in ambito cinematografico ed ho iniziato subito dopo a lavorare nello stesso settore come coordinatrice di produzione. Dopo sette anni ho scelto di rimanere in quella che ormai consideravo la mia città e di dare vita a ciò che mi appassionava ed è nata galleria Gilda Lavia. Credo che San Lorenzo sia uno dei quartieri storici più interessanti a Roma, dove l’arte ha sempre avuto grande spazio. Un quartiere giovane ed innovativo grazie alla presenza di una delle più importanti Università italiane e alla nascità, negli anni ’80, della “Scuola di San Lorenzo”. Penso che ci sarà una forte possibilità di assistere, in un prossimo futuro, alla nascita di nuovi spazi dedicati all’arte.

La sua ricerca di artisti si concentra prevalentemente su coloro che lavorano attraverso una ricerca concettuale, artisti che pongono delle riflessioni sulla nostra società, analizzandola sotto declinazioni differenti. Come mai ha fatto questa scelta? Secondo la sua visione qual è il ruolo dell’arte in ambito sociale?
Mi piace sottolineare sempre che, a mio avviso, “l’arte debba servire a qualcosa”. Quando una persona che visita una mostra in galleria torna a casa arricchita e stimolata alla riflessione, il mio ruolo ha avuto un senso. Credo che questa sia la missione del gallerista per la società, un piccolo contributo che con il tempo può sicuramnte portare a qualcosa di buono non solo per l’artista ma anche per la comuità.

Nella retrospettiva in corso in galleria “A Lâmina e a Língua” la prima mostra personale in Italia dell’artista e danzatrice Élle de Bernardini, viene affrontata la tematica della condizione delle persone trans, che in Brasile, paese di origine dell’artista, subiscono forti discriminazioni e hanno un’aspettativa di vita molto bassa. In particolare, nell’opera Operação Tarântula si fa riferimento ad un’operazione organizzata nel 1987 dalla polizia di Stato di San Paolo contro le persone trans, le quali tenevano le lame delle lamette sotto la lingua per difendersi. La mostra lancia un messaggio importante, ci obbliga a prendere atto di una situazione forse non così lontana da noi, quale impatto secondo lei possono avere o dovrebbero avere tali retrospettive sul pubblico in galleria?
Ho constatato che molte persone non erano al corrente delle condizioni subite dalla comunità trans in Brasile. Il luogo comune vuole che queste persone siano ben accette nel loro paese ed invece, ancora oggi, ogni due giorni una persona trans muore in Brasile perchè uccisa. Spero davvero che mostre come queste siano uno spunto di riflessione per chi le fruisce. “A Lâmina e a Língua” è un’esibizione di forte impatto che credo non passerà inosservata proprio per il tema trattato.

Qual è secondo lei oggi il ruolo della galleria d’arte e soprattutto del gallerista nel sistema complesso dell’arte?
Come già anticipato precedentemente, credo fortemente nell’utilità dell’arte. Che abbia un contenuto sociale, di denuncia, di protesta o semplicemente di pura bellezza, quello che l’arte deve fare è raccontare. La galleria è quel vettore tramite il quale l’artista può esprimersi e quindi arrivare a tutto il pubblico interessato. Il gallerista deve solo aiutare questo processo.
In un periodo storico in cui è così complesso viaggiare e conoscere nuove realtà, come ha dovuto evolversi la galleria per scoprire nuovi artisti e opere d’arte e quali sono le modalità con cui sceglie gli artisti?
Ovviamente la rete è stata assolutamente di supporto in un periodo in cui muoversi era impossibile. Trovo anche interessante scoprire il lavoro degli artisti tramite gli occhi del curatore, a volte sono proprio loro a trovare tematiche e significati che forse neppure l’artista stesso coglie subito. Cerco sempre di seguire una stessa linea nella scelta dell’artista, è importante la tematica che tratta e il modo con cui si esprime ma l’elemento fondamentale che non deve mancare è l’emozione.

Industria, politica e arte: la storia di un quartiere che osa trasformarsi
Il quartiere San Lorenzo è uno tra i più ricchi di storia della capitale, bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale ha subito nel corso degli anni innumerevoli trasformazioni, fino ad arrivare ai nostri giorni, momento in cui viene considerato uno dei maggiori centri artistici di Roma. Questi cambiamenti hanno investito numerosi luoghi del quartiere, tra cui capannoni industriali e laboratori, nati attorno alla dogana e ai cantieri di costruzione della nuova Roma Industriale. Questi spazi non hanno subito passivamente lo scorrere del tempo ma sono stati attori principali dell’evoluzione di quello che sarebbe divenuto un vivace polo artistico.
Si tratta di luoghi che hanno visto passare e iscriversi al loro interno la storia di uomini e donne che ha segnato profondamente il territorio italiano. Quello che ci raccontano mura e strade di San Lorenzo è una grande voglia di innovarsi e di mettersi in gioco: per la fine di ogni attività si apre un nuovo capitolo della storia, qui gli spazi non restano abbandonati ma si innovano e rinnovano seguendo lo scorrere del tempo e del presente. La situazione in Italia alla fine degli anni Sessanta segna quella che verrà definita la stagione degli anni di piombo che produsse un’estremizzazione della politica, portando a veri atti di violenza e terrorismo. Il quartiere stesso, da sempre considerato roccaforte della sinistra, è stato uno dei protagonisti di questo periodo e diverse sono le realtà presenti a conferma di questa connotazione, ne è un esempio la sede della redazione romana del giornale l’Unità.
In questi anni la cronaca nera si insinua spesso tra le strade san lorenzine come ricordano bene gli abitanti di Via dei Marsi. Durante la messa in onda della trasmissione RADIODONNA, il 9 gennaio 1979 alle 10:00, degli uomini in passamontagna fecero irruzione nella sede di Radio città Futura: si trattava di un commando dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, guidati da Valerio Fioravanti. Vennero ferite cinque redattrici dal fuoco dei mitra, bombe molotov vennero lanciate contro gli impianti che presero fuoco rendendo difficoltosa la fuga dei feriti. Di grande impatto è il racconto della sopravvissuta Nunni Miolli: “Quel giorno si parlava di contraccezione. Io ero al microfono. Entrano questi uomini armati e col passamontagna e come prima cosa mi lanciano addosso una molotov. Fortuna il golf che mi ha tirato la compagna Gabriella altrimenti sarei rimasta cieca. Poi ho sentito una sventagliata di mitra. Le compagne sono morte – ho pensato – le hanno ammazzate tutte! Adesso finiscono anche me”. Le parole della donna rendono tangibile il terrore vissuto in quegli anni in molteplici città italiane. Nonostante lo stabile fosse segnato dalla storia degli anni più bui del nostro paese, dopo anni di chiusura è tornato ad avere una nuova vita; nel 2014 infatti viene fondata da Carlo Maria Lolli Ghetti ed Eleonora Aloise la White Noise Gallery, che resterà nello spazio di Via dei Marsi fino al 2018 quando si trasferirà in Via della Seggiola.

Interessante è il collegamento tra la ex sede della radio e il fenomeno del rumore bianco da cui prende il nome la galleria, ovvero quello che viene definito dal neuroscienziato Seth Horowitz un muro di energia sonora senza schemi: si tratta di un suono a bassa frequenza che rilassa e favorisce la concentrazione, sicuramente opposto al chiasso delle trasmissioni di Radio Città Futura, che proponevano per l’epoca, temi scottanti ed avanguardisti. Un altro luogo di estremo interesse sempre su via dei Marsi, situato al civico 19, è lo studio di Roberto Federici. Inizialmente lo spazio era di natura industriale, al suo interno si trovava negli anni Cinquanta la Romana Dolciaria con la sua produzione di panettoni, i segni di questa presenza sono ancora tangibili nell’architettura dello spazio e della grande canna fumaria. Federici ci ha raccontato di essersi trasferito in questo spazio nel 1972, poiché a San Lorenzo si trovava la sede di Lotta Continua, quando ancora non esisteva la diffusione del giornale a livello nazionale.
Era per Federici l’occasione di mettersi in gioco professionalmente attraverso l’utilizzo della tecnica della stampa, aprendo una serigrafia per finanziare il giornale proprio in quei locali; già da prima l’artista frequentava infatti la litografia Bulla e proprio lì conobbe moltissimi artisti come Gian Paolo Berto o Piero Dorazio. Il fatto che egli collaborasse con un’organizzazione politica di sinistra avvicinava a lui gli artisti, felici di aiutarlo. Per finanziare il giornale, in particolare, venivano richiesti agli artisti dei loro disegni originali, di cui Federici realizzava delle stampe ad edizione limitata: 50 copie rimanevano all’artista e 50 al giornale. Innumerevoli sono gli artisti che hanno contribuito al finanziamento della pubblicazione, tra di essi ricordiamo Guttuso, Castellani e Angeli. Differenti lunghezze di vedute hanno presto portato Federici a distaccarsi dalla realtà di Lotta Continua, facendo dello spazio di Via dei Marsi il suo studio personale dove ancora oggi vive e lavora.
Questo ambiente ha dunque inscritta al proprio interno la storia stessa delle trasformazioni del quartiere che, da luogo prettamente industriale, si è trasformato in un baluardo rosso della politica fino a diventare un motore pulsante dell’arte.
Al numero 18 di via dei Lucani, dove risiedeva una vecchia azienda locale produttrice di ombrelloni è nato invece l’artist-run space /Ombrelloni, che racchiude lo studio di sei artisti, due collettivi, una project room, una falegnameria e uno spazio dedicato al design. Oggi all’interno di questo sito si realizzano anche eventi, talk e residenze.
Analoga è la realtà di via Tiburtina 213, da pochi anni abitati da numerosi artisti. I loro studi hanno dato nuova vita agli immobili che fino a poco fa ospitavano un’industria siderurgica e a parte del palazzo conosciuto da tutti come “Palazzo Decorato”, per via della mescolanza di stili da cui è composto. La palazzina fu fatta costruire da Giuseppe Maria Sartorio, scultore particolarmente famoso per la produzione di statue cimiteriali, e fu adibita come sua officina e scuola per scultori. Non è un caso che l’edificio e l’adiacente fabbrica fossero ubicati nei pressi del cimitero del Verano, che da sempre ha favorito la presenza di botteghe artigiane come quelle di marmisti e falegnami.
Queste e molte altre realtà sottolineano la nascita di San Lorenzo come quartiere popolare e operaio, infatti per lungo tempo è stato caratterizzato da molte attività artigianali e fabbriche che davano lavoro alla popolazione, è per questo un luogo che si presta oggi ad ospitare studi d’artista poiché ricco di grandi spazi, spesso situati al pian terreno e dotati di ampi accessi. Quello che emerge osservando queste trasformazioni è la grande capacità adattiva del quartiere e la grande potenza dell’arte che, anche in luoghi dalle storie quanto mai complesse ed a volte difficili, riesce a dar vita ad esperienze virtuose che hanno portato San Lorenzo ad essere oggi un punto di riferimento per l’arte a Roma e non solo.