
Nell’opinione pubblica, quando si parla del binomio arte/quartiere di San Lorenzo viene subito alla mente il Pastificio Cerere. L’edificio, in via degli Ausoni, tra via Tiburtina e Piazza dei Sanniti, fin dalla sua nascita è strettamente legato al contesto del luogo.
Nato da alcune modifiche apportate dall’ingegner Pietro Satti a due corpi di fabbrica già esistenti, la struttura apre le porte per la prima volta nel 1905 come Molino e Pastificio intitolato a Cerere, dea delle messi. La storia industriale dello stabile prosegue fino al 1960 quando, con la chiusura definitiva, si dà il via alla sua riconversione che si inserisce nel processo genetico del quartiere.
Dopo la sua dismissione, Felicina Ceci figlia del proprietario dell’ex fabbrica Pietro Ceci, insieme alla sorella Adriana, incomincia ad affittare alcuni dei locali come magazzini di calzature, vestiario e medicinali. È solo nel 1973 però, che il più importante reperto di archeologia industriale di San Lorenzo inizia la sua vera riconversione: da fabbrica a laboratorio artistico. In quell’anno infatti il Pastificio inizia ad accogliere artisti emergenti: Nunzio Di Stefano, appena diciannovenne, è il primo a stabilirvisi con il proprio studio. La signora Ceci, già amica del futurista Giacomo Balla, è lieta di accogliere un artista nei suoi ambienti e incoraggia anche altri arrivi di questo tipo. Nunzio occupando inizialmente l’edificio con dei compagni sceglie come suo studio una stanza nell’ala sinistra all’ultimo piano.
La scelta del posizionamento d’altronde è imposta dal fatto che quella all’epoca è l’unica porzione dell’edificio ad avere il pavimento. Al suo interno permangono le vesti industriali e la sua storia risuona ancora nell’ampia chiostrina, nei macchinari metallici, nei montacarichi utilizzati per spostarsi tra i vari piani, tra le passerelle e nei ballatoi. A distanza di pochi anni però per motivi vari l’artista si ritrova da solo; inizia così a cercare delle nuove personalità con cui condividere lo spazio. È allora che all’accademia di Belle Arti, dove frequenta il corso di scenografia di Toti Scialoja, raccontando di questo luogo con ampi spazi luminosi, conosce Dessì che lo mette in contatto con un suo amico in cerca di un luogo dove stabilirsi: Giuseppe Gallo.

È così che nel 1977 quest’ultimo prende sede nell’Ex Pastificio e inizia a condividere lo studio con Nunzio. Grazie a questa nuova presenza anche Gianni Dessì comincia a frequentare l’edificio e nell’arco di poco tempo vi si trasferisce bonificando una porzione del quarto piano. Dopo poco anche il terzo piano viene ristrutturato grazie all’arrivo di Bruno Ceccobelli e Marco Tirelli. Nel 1981 anche Pizzi Cannella inizia a frequentare il Pastificio Cerere perlopiù come ospite di Nunzio e, affascinato da questo luogo, decide di insediarvisi anche lui. Quest’ultimo d’altronde sostiene che trovandosi tra l’università, la stazione, l’ospedale e il cimitero, ossia quei luoghi rappresentanti i momenti cruciali della vita, essere nel quartiere di San Lorenzo e più nello specifico al Pastificio è come trovarsi al centro del mondo.
Pur condividendo gli stessi spazi, gli artisti comunque non sono uniti da alcun manifesto; il loro è un sodalizio tra personalità che conoscono la propria vocazione e cercano degli interlocutori coinvolti nella stessa pratica del fare, con i quali poter aprire un confronto ma non un lavoro comune. Per questo è da ritenere assai controversa la definizione che negli anni li ha etichettati come gli artisti della “Scuola di San Lorenzo”. Se da una parte non si trova immediato riscontro nell’identità eterogenea del gruppo, dall’altra l’appartenenza al luogo è innegabile. La scelta dell’edificio come luogo di residenza e lavoro infatti avviene in modo del tutto spontaneo; è il risultato di convergenze, amicizie, sodalizi e matrici comuni vissute negli anni precedenti come il corso all’accademia di Toti Scialoja, l’esperienza de La Stanza e la “condivisione” di alcuni galleristi come Gian Enzo Sperone, Ugo Ferranti e Fabio Sargentini.
È con la mostra Ateliers del 1984, promossa dal sindaco Giulio Carlo Argan e dall’assessore alla cultura Renato Nicolini, e curata da un allora giovane Achille Bonito Oliva, che le porte del Pastificio vengono spalancate e gli spazi creativi aperti al grande pubblico, che viene a conoscere e toccare con mano l’esperienza che sta prendendo piede nel quartiere. L’esposizione, ricordata come un evento straordinario, si svolge al di fuori da ogni schema predefinito: non sono le opere ad uscire per approdare sui muri di una galleria ma è la gente che va a “trovarle” negli studi.
In questa occasione, inoltre, per assecondare una consuetudine del curatore, che più di una volta aveva scelto l’immagine di un’opera del passato per identificare le sue mostre di arte contemporanea, il 15 dicembre 1983 viene scattata una foto di gruppo. Quest’ultima si ispira al dipinto di Courbet rifiutato al Salon del 1855, che lo stesso autore aveva intitolato Atelier du peintre, allégorie réelle déterminant une phase de sept années de ma vie artistique. Come avviene nel dipinto così anche nello scatto di quell’anno tra i sessantatré personaggi immortalati vi sono artisti, critici, storici dell’arte, scrittori, editori, filosofi, amici e persino due cani, quasi a voler sottolineare l’affermazione di un soggetto collettivo.
La fabbrica di San Lorenzo dagli anni Settanta in poi, come è stato già detto, si è trasformata dunque in un centro propulsore di arte contemporanea. Nel corso del tempo, oltre agli artisti storici molti pittori, scultori, critici, galleristi, intellettuali ed esponenti del mondo dello spettacolo hanno trovato casa tra queste mura e hanno fatto sì che quel processo di condivisione iniziato negli anni Settanta, per caso, continuasse fino ai giorni nostri. Si ricorda per esempio la nascita nel 1986 del “Centro di Cultura Ausoni” gestito dal critico Italo Mussa e Arnaldo Romani Brizzi, entrambi sostenitori della pittura colta, una pittura figurativa che implica il ritorno ad iconografie e tecniche esecutive tradizionali; l’instaurazione nel 1993 dello spazio espositivo “Studio Aperto” a cura di Luigi Campanelli e nel 1995 della galleria di Pino Casagrande. È solo del 2002 invece l’idea di dotare l’edificio di una Fondazione, poi nata nel 2005 per volere del suo presidente Flavio Misciattelli e che vede oggi Marcello Smarrelli come direttore artistico e Claudia Cavalieri come coordinatrice delle mostre.