
Numero Cromatico è un collettivo artistico nato nel 2011, composto da ricercatori provenienti dal mondo delle arti visive e delle neuroscienze, che fonda la propria ricerca su un’impostazione interdisciplinare. Nella nostra intervista abbiamo provato a conoscerli meglio…
Proviamo a definire Numero Cromatico. Vi presentate come gruppo di ricercatori provenienti dal mondo delle arti visive e delle neuroscienze che parte da un approccio scientifico all’arte con particolare attenzione alle più recenti scoperte neuroscientifiche: cosa si cela dietro questo Manifesto? Qual è, secondo voi, il rapporto che intercorre tra arte e neuroscienze?
La dichiarazione che citi nella domanda evidenzia alcune peculiarità fondamentali di Numero Cromatico che necessitano di un approfondimento. Il collettivo è composto da un gruppo di persone che utilizzano nella ricerca e nella produzione artistica conoscenze provenienti da diverse discipline e in particolare dalle neuroscienze. Questo determina un vero e proprio approccio interdisciplinare allo studio dell’evento estetico.
Questo tipo di approccio è però un modus operandi che ritroviamo in tutti gli artisti del passato che oggi ricordiamo. Essi sono stati tutti scienziati della forma, del colore e, più in generale, studiosi dei meccanismi della percezione umana. Lo hanno fatto confrontandosi, in ogni epoca, con le più avanzate ricerche del loro tempo: geometria, matematica, fisica della visione, anatomia, filosofia e molto altro.
Il rapporto, ma più precisamente la coesistenza, tra mondo umanistico e mondo scientifico è qualcosa di solido, antico e radicato nella nostra cultura, nonostante oggi si divulghi ancora il malinteso “degli opposti”.
Per concludere e dare una definizione più precisa: Numero Cromatico è quindi un collettivo che porta avanti un approccio interdisciplinare che integra i più avanzati studi sui fenomeni della realtà. Tra questi studi troviamo, ad esempio, quelli afferenti alla neuroestetica che è ad oggi una delle più avanzate discipline per comprendere e indagare i meccanismi di funzionamento del cervello umano in relazione all’arte.

Oltre a questa tematica per voi fondante, ci sono altri temi che caratterizzano la vostra poetica?
Le neuroscienze e l’approccio interdisciplinare non sono temi della nostra poetica, ma strumenti teorici e metodologici. In realtà non abbiamo specifiche tematiche che caratterizzano la nostra ricerca ma una serie di principi estetici che seguiamo nella nostra produzione. Certo, in tutto il nostro lavoro artistico potresti intravedere dei topoi ricorrenti della storia dell’uomo, ma questi non rispondono mai alle folate di vento della moda. Secondo noi occuparsi, o dichiarare di occuparsi, di particolari tematiche sociali e di tendenza può essere utile a meccanismi curatoriali, politici o di mercato, ma è esteticamente molto fragile. I grandi artisti del passato, anche del passato recente, si sono occupati di stabilire e seguire precisi parametri estetici e non di rispondere a determinati temi provvisori. Prova a pensarci: Policleto, Giotto, Michelangelo, Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci, oppure Georges Seurat, Umberto Boccioni, Kazimir Malevic, Marcel Duchamp, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Robert Rauschenberg, Sergio Lombardo, solo per citarne alcuni. Nessuno di questi può essere ridotto ad un tema.
Per noi l’arte è un portale attraverso cui il fruitore immagina, inventa e si fa nuovo, andando a scavare nella propria memoria, mettendo alla prova la propria percezione. Preferiamo che le nostre opere e i nostri progetti stimolino tanti temi quante sono le persone che ne fanno esperienza.

Da Pastificio Cerere a Via Tiburtina 213, ultimamente avete inaugurato un’esposizione presso uno spazio in Via dei Volsci, 165. Da sempre occupate spazi di San Lorenzo, quartiere cui sembrate davvero affezionati. Cosa vi lega a questo territorio?
A San Lorenzo ci siamo trovati per caso. Qualche anno fa, mentre stavamo lasciando il nostro spazio in Via Carlo Caneva, vicino la stazione Tiburtina, si liberò lo studio di Giuseppe Gallo al Pastificio Cerere. Siamo subentrati noi poco dopo. Poi, andando via dal Pastificio a fine 2020, per questioni logistiche abbiamo cercato di non allontanarci troppo dalla zona. Infatti, per caso e per fortuna, abbiamo trovato due posti bellissimi a pochi passi dal nostro vecchio studio. Il primo in via Tiburtina 213, grazie a Paolo Tamburella che aveva recuperato un importante e affascinante fabbricato. Il secondo nell’area degli artigiani marmisti, in via del Volsci 165, che è diventato il nostro Project Space.
Il quartiere è sicuramente un’area storica interessante, caratterizzata da stratificazioni architettoniche e sociali molto peculiari, ma al territorio ci legano motivazioni perlopiù aleatorie.

In pochi anni, dal 2011 ad oggi, avete raggiunto grandi obiettivi, realizzando anche un importante progetto editoriale, Nodes. Da poco avete inaugurato “Tre scenari sulla percezione del tempo” e realizzato il progetto SUPERSTIMOLO, con l’esposizione al Museo MAXXI di Roma. Verso cosa vi dirigete? Qual è il prossimo obiettivo che vorreste raggiungere? Regalateci un piccolo spoiler!
Abbiamo ottenuto importanti riconoscimenti: nel 2019 ad ArtVerona siamo stati nominati migliore realtà indipendente italiana, nel 2020 siamo stati nominati miglior spazio ibrido da Artribune e nel 2021 abbiamo vinto l’Italian Council e altri importanti premi. È un onore per noi, ma questi non sono obiettivi raggiunti, ma riconoscimenti per l’impegno e la dedizione che ogni giorno rivolgiamo all’arte, dedicandole interamente le nostre vite.
Per anni abbiamo perseguito scopi estetici precisi, avendo anche il coraggio dell’impopolarità, visto l’approccio inusuale della nostra ricerca. Non è stato semplice ma oggi il contesto è molto diverso rispetto a dieci anni fa.
Gli obiettivi che abbiamo raggiunto invece sono principalmente due e di matrice immateriale: a) aver preservato una coerenza metodologica e teorica in un contesto artistico in cui il relativismo (farsi portare di qua e di là da qualsiasi evento o tendenza) appare l’unico atteggiamento all’altezza della modernità; b) aver accresciuto e rafforzato il gruppo che oggi è composto da dieci persone che condividono degli ideali estetici e relazionali.

A margine c’è anche un ulteriore obiettivo che riteniamo di aver raggiunto e cioè aver contribuito alla riattivazione di un fermento artistico in città. Sin dal 2018 avevamo iniziato ad incontrare altri artisti e curatori con l’intento di produrre progetti per scoprire ciò che c’era di sommerso o silenzioso. A maggio 2018 infatti coinvolgemmo 8 curatori e storici dell’arte in “La quadratura del cerchio” per capire il contesto curatoriale a Roma. Nel frattempo iniziammo a visitare gli studi di alcuni artisti da coinvolgere in Messinscèna che inaugurammo a maggio 2019. Nello specifico a Messiniscèna hanno partecipato molti degli artisti oggi esponenti dei vari artist-run-space, sia come protagonisti che come pubblico. Messinscèna è stata un’esperienza di grande ispirazione per ciò che è venuto dopo, comprese le “reazioni” alla Quadriennale di qualche tempo più tardi.
Negli ultimi mesi abbiamo inaugurato alcuni progetti per noi molto importanti, alcuni li hai citati. Il progetto SUPERSTIMOLO al MAXXI proseguirà fino a maggio. Lo spazio che abbiamo creato ad hoc nel museo cambierà tre volte nel periodo della mostra e condurremo anche un esperimento di neuroestetica. Mentre la mostra Tre Scenari sulla Percezione del Tempo, nel nostro Project Space a San Lorenzo si concluderà, con il terzo atto, prima dell’estate.
Poi c’è molto altro e vi invitiamo a seguirci. Per il resto il futuro è imprevedibile.